Recensione “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury

Recensione “Fahrenheit 451” di Ray BradburyFahrenheit 451 di Ray Bradbury
Pubblicato da: Mondadori il 01/03/1989
Generi: Classico, Distopia, Fantascienza
Pagine: 195
Formato: Copertina Flessibile, Copertina Rigida
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Recensione senza spoiler

Montag fa il pompiere in un mondo dove gli incendi, anziché essere spenti, vengono appiccati. Armati di lunghi lanciafiamme, i militi irrompono nelle case dei sovversivi che conservano libri o altra carta stampata e li bruciano: così vuole la legge. Ma Montag non è felice della sua esistenza alienata, fra giganteschi schermi televisivi e slogan, con una moglie indifferente e passiva e un lavoro che svolge per pura e semplice routine. Finché un giorno, dall'incontro con una donna sconosciuta, nasce un sentimento impensabile, e per Montag il pompiere inizia la scoperta di un mondo diverso da quello in cui è sempre vissuto, un universo di luce non ancora offuscato dalle tenebre della società tecnologica imperante. Scritto nel lontano 1953, Fahrenheith 451, romanzo prediletto di artisti del calibro di Aldous Huxley e Francois Truffaut, attesta ancora oggi Bradbury tra i massimi scrittori di fantascienza di tutti i tempi.


Riassunto brevissimo

Romanzo distopico nel quale i libri vengono bruciati perché potrebbero deviare il pensiero delle persone. Guy Montag, il protagonista, è un pompiere col compito di appiccare incendi ai libri, ma un giorno incontra una ragazza che gli aprirà la mente a nuove idee.

Recensione

Fahrenheit 451 è un libro che soffre di un grave problema comune a molti libri “classici”: l’aspettativa elevata. Ne senti parlare sempre bene, la gente pare adorare un libro, quando nomini il titolo qualcuno sviene dalla commozione. Poi lo leggi, non ti lascia di stucco e a quel punto sorge la fatidica domanda: “Ma sarò scemo io?”. Quando mi succede mi chiedo un’altra cosa: Non mi piace soggettivamente o oggettivamente? La differenza è sostanziale. Tropico del Cancro è un libro “classico”, ma ogni volta che provo a leggerlo sento il ribrezzo che mi sale e vorrei solo non averlo mai iniziato. In quel caso il mio ripudio è totalmente soggettivo.
Nel caso di Fahrenheit 451, il libro l’ho finito ma non lo trovo un capolavoro. Forse proprio per via di tutti gli elogi, che mi hanno alzato l’aspettativa, la delusione durante la lettura è stata maggiore. In questo caso, però, ho anche motivi oggettivi.

La storia consiste nel viaggio psicologico del protagonista, Guy Montag, che da incendiario diventa un protettore dei libri. Tutto il libro è in realtà la narrazione del suo viaggio mentale, quindi è ricco di parti interamente dedicate ai suoi pensieri. Con parti intendo pagine e con pensieri intendo flussi di parole infiniti che, alla lunga, sfiancano. In realtà tutto ciò è sopportabile per quasi tutto il libro, finché non si arriva nella parte finale dove su circa 20 pagine 17 sono così, e a quel punto passa anche la voglia di leggere. I giorni impiegati per leggere le ultime 20-25 pagine sono stati gli stessi per leggere le prime 160, per quanto mi riguarda. Il fatto di non essere riuscito a legare col protagonista, un personaggio a mio parere noioso ed estremamente stupido, non ha di certo aiutato.

Le parti di suspense non fatto effetto (laddove L’uomo in fuga di Stephen King mi agitava come fossi io stesso il protagonista) e l’unico cattivo interessante (in realtà l’unico cattivo, e pure l’unico personaggio interessante) viene usato poco nulla:

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Il Capitano Beatty, veramente un personaggio interessante, sfruttato per una pagina solo pre-morte.

Il testo spesso risulta di difficile lettura, con frasi e locuzioni ormai in disuso ai giorni nostri. Dire che è un libro scritto negli anni ’50 non vale, perché vi sono libri anche più vecchi più semplici da leggere. Esempio banale: “In nessun luogo, non c’era luogo ove riparare, nessun amico presso cui rifugiarsi, realmente. Eccettuato Faber“. Testo incomprensibile? No, ma nemmeno fluido. E questo è solo un banale esempio.
La traduzione italiana in uso tutt’oggi risale al 1956, per opera di Giorgio Monicelli ai tempi in cui questo libro si chiamava “Gli anni della fenice”. Ai tempi era una traduzione sicuramente corretta e al passo coi tempi, ma dopo oltre 60 anni non è forse necessario un aggiornamento? Una nuova traduzione? Ma è più economico riutilizzare ciò che si ha da mezzo secolo.

Conclusioni

Un libro a parer mio erroneamente acclamato come capolavoro. Interessanti i concetti psicologici dietro la scelta di bruciare i libri, ma purtroppo è l’unica cosa su cui si basa il racconto (il controllo delle masse tramite i media fa comunque parte dei “concetti psicologici dietro la scelta di bruciare i libri”). Nessuna caratterizzazione dei personaggi, nessuna vera e propria descrizione del mondo distopico se non per poche cose (come i segugi di metallo o la TV che ti chiama per nome). La traduzione datata non aiuta e le 200 pagine del libro si faticano a leggere.

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