Recensione “The Roads to Sata: A 2000-Mile Walk Through Japan” di Alan Booth

Recensione “The Roads to Sata: A 2000-Mile Walk Through Japan” di Alan BoothThe Roads to Sata: A 2000-Mile Walk Through Japan di Alan Booth
Pubblicato da: Kodansha Globe il 1997
Generi: Letteratura di Viaggio
Pagine: 302
Formato: Copertina Flessibile
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Recensione senza spoiler

Traveling only along small back roads, Alan Booth traversed Japan’s entire length on foot, from Soya at the country’s northernmost tip, to Cape Sata in the extreme south, across three islands and some 2,000 miles of rural Japan. The Roads to Sata is his wry, witty, inimitable account of that prodigious trek.

Although he was a city person—he was brought up in London and spent most of his adult life in Tokyo—Booth had an extraordinary ability to capture the feel of rural Japan in his writing. Throughout his long and arduous trek, he encountered a variety of people who inhabit the Japanese countryside—from fishermen and soldiers, to bar hostesses and school teachers, to hermits, drunks, and tramps. His wonderful and often hilarious descriptions of these encounters are the highlights of these pages, painting a multifaceted picture of Japan from the perspective of an outsider, but with the knowledge of an insider.

The Roads to Sata is travel writing at its best, illuminating and disarming, poignant yet hilarious, critical but respectful. Traveling across Japan with Alan Booth, readers will enjoy the wit and insight of a uniquely perceptive guide, and more importantly, they will discover a new face of an often misunderstood nation.


Leggendo Autostop con Buddha mi è capitato un paio di volte di leggere riferimenti a un altro libro, per appunto The Roads to Sata. Incuriosito dalla premessa del viaggio a piedi attraverso il Giappone, ho deciso di recuperare questo libro, purtroppo disponibile solo in lingua inglese.

The Roads to Sata è il diario di viaggio di Alan Booth, inglese che da 7 anni vive in Giappone, il quale decide di compiere l’impresa di viaggiare a piedi per tutta la lunghezza del Giappone, dall’estremo nord all’estremo sud.

Il libro è ricco di aneddoti e di chicche riguardanti luoghi poco conosciuti, spesso quasi disabitati. Sono inoltre innumerevoli gli incontri che l’autore fa, sia positivi che negativi. Molti giapponesi, sopratutto i più piccoli, lo denigrano perché è un gaijin, uno straniero, ma in mezzo a tanta discriminazioni Booth fa anche conoscenze piacevoli.

Tra aneddoti e nuove conoscenze, l’autore beve una gran quantità di birra, cosa che fa notare con frequenza un po’ troppo esagerata.

Conclusioni

Un buon libro per conoscere il Giappone rurale, seppur datato sotto certi aspetti.

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